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Larici e prati-pascoli alberati:
un patrimonio
bio-culturale alpino

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Immaginate di camminare in una valle alpina: i raggi del sole filtrano attraverso gli alberi, illuminando prati verdi. Tra questi prati si ergono i larici, i giganti dorati delle Alpi. In autunno, i loro aghi cadono lasciando i rami nudi, e l’erba sotto riceve luce e nutrimento. Ma i larici non sono solo alberi: sono testimoni di secoli di gestione del paesaggio, di economie alpine e di pratiche tradizionali che hanno plasmato la montagna.

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Il larice europeo (Larix decidua) è una conifera decidua unica nel continente. Cresce su suoli poveri, resiste al freddo e, grazie alla caduta degli aghi, fertilizza il terreno creando un substrato ricco che favorisce altre piante. Questa sua capacità lo rende una specie pioniera, capace di colonizzare spazi aperti e di preparare il terreno alla successiva crescita di altre conifere o latifoglie.

Il larice, inoltre, ha un impatto diretto sulla biodiversità: la sua chioma rada permette alla luce di raggiungere il sottobosco, favorendo erbe, arbusti e specie eliofile rare. In questo senso, i lariceti non sono solo boschi: sono ecosistemi dinamici, con una ricchezza vegetale e animale maggiore rispetto a foreste più dense e ombrose.

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Molto spesso i larici crescono in spazi aperti, integrati con prati e pascoli, creando i cosiddetti prati-pascoli alberati. Questi paesaggi nascono dall’interazione tra la condizioni ambientali pratiche umane: pascolo controllato, sfalcio, raccolta di legna e fieno hanno modellato la distribuzione degli alberi e la densità della vegetazione. In Trentino, per esempio, la gestione secolare della Magnifica Comunità di Fiemme ha mantenuto un equilibrio tra produzione di legname e risorse pascolive, creando paesaggi che oggi possiamo ancora osservare.

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Questi sistemi rappresentano un patrimonio bioculturale: non sono solo ecologicamente preziosi, ma raccontano la storia della convivenza tra comunità alpine e ambiente. Ogni larice, ogni prato, ogni toponimo – dai nomi dei masi alle cartografie storiche – conserva informazioni sul passato e sulle scelte di chi ha abitato la valle.

Per comprendere i lariceti e i prati-pascoli alberati non basta osservarli oggi: bisogna leggere le tracce del passato. L’approccio storico-geografico combina fonti diverse – catasti, carte, statuti, iconografia e osservazioni sul campo – per ricostruire come i paesaggi si sono formati e trasformati nel tempo.

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Grazie a questo metodo, emerge un quadro affascinante: i larici erano coltivati e gestiti, con tagli selettivi, estrazione di resina, raccolta di foglie e cura dei pascoli. La loro distribuzione attuale non è solo il frutto di dinamiche ecologiche spontanee, ma anche delle passate pratiche di coltura del bosco e ripiantumazione, o della cessazione di pratiche tradizionali e dell’abbandono dei pascoli.

Grazie alle peculiarità della pianta, è possibile individuare l’esistenza di un “ciclo del larice” che permetteva l’alternarsi di copertura densa e rada e la compresenza di risorse erbacee e legnose.

I lariceti erano al centro di interessi diversi: da un lato i pastori, che avevano bisogno di erba e pascoli; dall’altro i proprietari dei boschi e le autorità, interessati al legname e alla resina. Spesso, la stessa area era soggetta a sovrapposizioni di possesso e regole complesse, e in alcuni casi nascevano dispute documentate negli archivi. Ma in molti casi, le comunità alpine sviluppavano accordi sofisticati, dove il rispetto dei ritmi stagionali e delle risorse diventava una forma di governance condivisa, o le frizioni esplodevano in conflitti per il controllo delle risorse.

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L’uso multiplo delle risorse dei prati-pascoli alberati apriva infatti a dispute tra diversi attori sociali, interessati a differenti utilizzi della risorsa. Per esempio a partire dalla fine del XVIII secolo il taglio dei larici viene fortemente normato, a dimostrazione della sua importanza. : le piante acquistate per il commercio, anche se di proprietà di privati, dovevano essere esaminate ed approvate dall’Ufficio Forestale Imperiale prima dell’abbattimento. Le istruzioni emanate dall’Ufficio nei vari vari dettagliano la procedura: le guardie dovevano recarsi “in loco […] farvi indicare i boschi dove queste piante si ritrovano, visitarli, individuare le piante atte al taglio, e segnalarle tramite colpi di martello”. Il valore del larice era così alto nell’Ottocento che l’Ufficio Forestale locale suggerisce all’amministrazione asburgica di porre il divieto di esportazione dei suoi semi in negli stati italiani, in modo da difendere il più possibile il monopolio della risorsa.

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I filtraggi cartografici hanno evidenziato la sopravvivenza di lacerti di antichi prati-pascoli alberati in siti come il Monte Gua a Capriana, i prati-pascoli alberati di Daiano, il versante dei Masi di Cavalese e Campo di Larice nel comune di Valfloriana.

 

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Oggi, i lariceti e i prati-pascoli alberati sono un patrimonio da valorizzare. Offrono biodiversità, resistono meglio a eventi calamitosi come tempeste o parassiti e preservano tradizioni e conoscenze antiche. Riconoscerli come bio-cultural heritage significa proteggerli non solo come ecosistemi, ma anche come archivi viventi di memoria, economia e cultura alpina.

La loro conservazione può anche guidare la gestione forestale contemporanea: alternare larici e abeti, mantenere prati alberati, ripristinare pascoli e antiche prateie può favorire resilienza ecologica, mitigare il rischio di calamità e offrire spazi ricreativi e culturali per le comunità locali e i visitatori.

Le attuali formazioni di larici più estese sono da ricondurre a prati e pascoli alberati ad oggi abbandonati, e che stanno seguendo processi naturali o antropici di rinaturalizzazione, infittimento ed espansione. La scelta, sino ad ora economicamente vincente, di promuovere e impiantare peccete coetanee ad alto fusto inizia ad essere discussa soprattutto alla luce di eventi calamitosi come la tempesta Vaia (che nel 2018 ha distrutto ettari di foreste) e la diffusione del bostrico, parassita particolarmente dannoso per i picea. Recuperare specie e forme paesaggistiche trascurate come i lariceti (più resistenti ai forti venti e al parassita bostrico) può contribuire a alleviare la pressione su alcune aree.

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I larici e i prati-pascoli alberati sono paesaggi viventi, dove ecologia e cultura si intrecciano. Sono testimoni di pratiche agricole, di gestione forestale e di economia alpina che hanno modellato le montagne per secoli. Oggi possono insegnarci come unire conservazione della natura e cultura, memoria storica e resilienza ecologica. Custodirli significa mantenere viva una tradizione millenaria e garantire che le Alpi continuino a raccontare la loro storia, fatta di luce, vento, erba e legno dorato.

 

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Riferimenti bibliografici

 

  • Cevasco R., Gabellieri N., Zone umide, alberi da foraggio e antiche praterie: per la caratterizzazione del patrimonio storico-ambientale della transumanza, “Documenti geografici”, 25, 2, 2023, pp. 75-100 [fascia A 11/B1].

  • Gabellieri N. (2021), Il patrimonio bio-culturale alpino: un approccio geografico-storico al pascolo alberato di larici in Trentino (XVIII-XXI sec.), “Rivista geografica italiana”, CXXVIII, 3, pp. 82-104.

  • Gabellieri N., Sarzotti E., Forest planning, rural practices, and woodland cover in an 18th-century Alpine Valley (Val di Fiemme, Italy): A geohistorical and GIS-based approach to the history of environmental resources, “AIMS Geosciences”, 10, 4, 2024, pp. 767-791 [fascia A 11/B1].

  • Gorfer A. (1988), L’uomo e la foresta, Manfrini Editori, Calliano (Trento).

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Lariceto in val di Fiemme (foto Gabellieri N.)
Carta dei popolamenti forestali in Val di Fiemme (2010); in rosso la presenza di larice in popolamento specifico o in promiscuità con bosco misto
Carta topografica della foresta demaniale di Paneveggio con la descrizione dei confini delle zone di Carigole e Dossaccio, 18th c., particolare. Rappresentazione di un prato-pascolo alberato con larici, spruce e latifoglie (Archivio storico provinciale di Trento).
Particolare di larice con incisione per l’estrazione della resina coperta da un tappo (F. Gabellieri N.)

Resti di un antico prato-pascolo alberrato di larice con infittimento recente

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